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Romano Prodi e l’incidente con la giornalista: quando il potere perde il senso del limite


Romano Prodi e l’incidente con la giornalista: quando il potere perde il senso del limite Immagine

In un’epoca in cui la comunicazione è sempre più diretta, trasparente e sottoposta al giudizio pubblico, episodi come quello che ha visto protagonista l’ex premier Romano Prodi non possono essere archiviati come semplici gaffe.

Il gesto di afferrare i capelli della giornalista Lavinia Orefici, immortalato dalle telecamere di DiMartedì e Quarta Repubblica, non è soltanto un momento di scarsa eleganza: è la manifestazione plastica di una cultura paternalistica che mal si concilia con il rispetto dovuto ai professionisti dell’informazione e, più in generale, alle donne.

L’episodio si è consumato durante una domanda della cronista sul Manifesto di Ventotene, il testo fondativo dell’idea europeista. Prodi, visibilmente infastidito, ha risposto con tono brusco, negando di aver mai fatto certe affermazioni. Quando la giornalista ha insistito, l’ex premier ha adottato un atteggiamento condiscendente, accompagnato dal gesto inopportuno sui capelli di Orefici. Un gesto che, come emerso dai filmati, non si può liquidare come una semplice pacca amichevole.

Inizialmente Prodi ha sminuito la vicenda, sostenendo di aver solo appoggiato una mano sulla spalla della giornalista. Solo dopo la diffusione delle immagini ha riconosciuto l’accaduto, scusandosi pubblicamente ma chiedendo che l’episodio non fosse strumentalizzato.

Un mea culpa tardivo e accompagnato da quella fastidiosa richiesta di “contestualizzazione” che suona sempre come una minimizzazione del fatto.

Un segnale culturale da non sottovalutare

Oltre l’aneddotica, questa vicenda pone un tema più profondo: il rapporto tra potere e rispetto. Se un uomo delle istituzioni, per quanto autorevole e di lungo corso, si sente autorizzato a compiere un gesto così invasivo nei confronti di una professionista che sta semplicemente facendo il suo lavoro, significa che persiste una cultura in cui l’autorevolezza è scambiata per arroganza. E questo non è accettabile.

Il punto non è demonizzare Prodi, la cui statura politica e il cui contributo alla costruzione europea restano indiscussi. Il punto è riconoscere che certi comportamenti riflettono una mentalità che oggi non ha più cittadinanza. Il rispetto, specialmente nei confronti di chi svolge il delicato compito di porre domande, deve essere un pilastro irrinunciabile.

Il peso delle scuse (e dei silenzi)

Se c’è un aspetto che stride, in questa vicenda, è il ritardo con cui il mondo politico e istituzionale ha reagito. Troppo spesso si tende a lasciar correre episodi del genere, come se si trattasse di intemperanze da anziani saggi, anziché riconoscerli per quello che sono: segnali di una cultura da archiviare.

E chi ricopre ruoli di rilievo ha una responsabilità doppia: non solo nei confronti di chi subisce il gesto, ma anche verso un’opinione pubblica che ha bisogno di modelli di comportamento irreprensibili.

Nel mondo delle PMI e dei liberi professionisti, dove il rispetto per le persone e per il loro lavoro è il fondamento di qualsiasi relazione di successo, episodi come questo suscitano inevitabilmente indignazione. Se in un’azienda o in uno studio professionale un leader si comportasse in modo analogo con un collaboratore, difficilmente potrebbe giustificarsi con un “non volevo”. Perché, alla fine, ciò che conta non è l’intenzione dichiarata, ma l’effetto reale di un’azione.

Un’opportunità di riflessione

L’auspicio è che questa vicenda non venga archiviata come l’ennesimo incidente di percorso di un personaggio pubblico, ma diventi l’occasione per riflettere sul confine invalicabile tra autorevolezza e abuso di posizione.

Perché il rispetto non è mai una concessione: è un dovere. E chi ha avuto l’onore di servire il Paese dovrebbe esserne il primo garante.

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