Negli ultimi dieci anni, il ricorso al congedo di paternità è triplicato, eppure il 35% dei padri italiani ancora non ne usufruisce. Questo dato, emerso dallo studio INPS-Save the Children, getta luce su un fenomeno sociale che rappresenta sia un’opportunità di crescita che un limite culturale radicato.
Da un lato, un numero sempre maggiore di padri si sta assumendo la responsabilità della cura dei figli. Dall’altro, permane una resistenza, soprattutto nelle piccole imprese e nelle regioni meridionali, dove solo il 44% dei lavoratori ne fa uso, contro il 76% delle grandi aziende del Nord.
Una delle più grandi menzogne del mondo del lavoro italiano è che l’uomo sia sempre indispensabile in ufficio, mentre la donna possa permettersi di stare a casa per accudire i figli. Ma se in dieci anni il congedo di paternità è triplicato e in due anni il numero di giornate di congedo parentale usufruite dai padri è aumentato di quasi il 50% (da 1.474.215 nel 2021 a 2.166.761 nel 2023), qualcosa sta cambiando.
Eppure, la cultura aziendale in molti contesti resta ancorata a modelli obsoleti: per un padre prendere il congedo significa spesso affrontare il giudizio silenzioso di colleghi e superiori, o addirittura il rischio di essere percepito come meno dedito alla carriera. E qui si arriva al cuore del problema: se il sistema lavorativo italiano premia ancora la presenza fisica più della produttività reale, è evidente che la strada verso un’effettiva parità nella genitorialità è ancora lunga.
Il fenomeno è particolarmente marcato nelle piccole e medie imprese, ossatura dell’economia italiana. Qui, spesso per mancanza di risorse o per una gestione più tradizionalista, il congedo di paternità è visto come un peso e non come un investimento. Un paradosso, se pensiamo che le stesse aziende lamentano difficoltà nel trovare personale qualificato e motivato. In realtà, un’organizzazione che favorisce la conciliazione tra lavoro e vita privata attrae talenti e riduce il turnover.
Eppure, si continua a credere che concedere ai padri il diritto alla cura sia un lusso, non una necessità. E così ci si ritrova con donne che ancora portano il peso maggiore della gestione familiare, e uomini che rinunciano al diritto di essere presenti nella vita dei propri figli.
Gli imprenditori e i manager italiani hanno un’occasione irripetibile: abbandonare la vecchia mentalità della presenza a tutti i costi e costruire modelli lavorativi più flessibili. Smart working, orari agili, valutazione per obiettivi: sono strumenti che, se ben usati, permettono di mantenere alta la produttività senza penalizzare la vita privata.
Chi guida un’azienda oggi deve avere il coraggio di premiare chi si assume responsabilità familiari, anziché penalizzarlo. Perché un padre che si prende cura dei figli non è un dipendente meno affidabile, ma un individuo con una capacità di gestione del tempo e delle priorità probabilmente superiore alla media.
La verità è che il congedo di paternità è molto più di una misura di welfare: è un cambio di paradigma. È un’opportunità per costruire una società in cui il peso della cura non sia più sbilanciato e in cui anche le madri possano avere lo spazio che meritano nel mondo del lavoro.
Serve il coraggio di superare modelli insostenibili. E serve che i leader aziendali si dimostrino all’altezza di questa sfida, negoziando nuove forme di organizzazione del lavoro che tengano conto della realtà: il tempo della crescita dei figli è ora, non rinviabile.
E voi, capitani d’impresa, siete pronti a navigare verso il futuro o resterete ancorati alle zavorre del passato?
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