L’influencer marketing tradizionale è tutt’altro che in declino. Se nel 2022 il suo valore si aggirava intorno ai 16 miliardi di dollari, oggi supera la strabiliante cifra di 20 miliardi, confermandosi un trend in continua ascesa. E a fare da cornice a questo fenomeno globale, l’Italia gioca un ruolo da protagonista.
Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Nazionale sull’Influencer Marketing (ONIM), il nostro Paese vanta il primato europeo per numero di influencer in rapporto alla popolazione residente. Parliamo di un 2,22% di italiani che, sopra i 18 anni e con almeno 1000 seguaci, si cimentano nell’arte di creare contenuti sui social media.
Detto in parole povere, ogni 100 persone in Italia, più di due sono aspiranti Chiara Ferragni o Fedez.
Facciamo un po’ di matematica: con 82 influencer ogni 100.000 abitanti, il Bel Paese ospita circa 37.700 content creator. Un esercito di moderni comunicatori digitali che, almeno sulla carta, sembrano guadagnare cifre da capogiro.
Le statistiche parlano di entrate medie annue pari a 84.028 euro, ossia circa tre volte il salario medio di un cittadino italiano. Un dato che, però, non tiene conto di una verità meno scintillante: sono le “star” dei social a far lievitare la media, lasciando molti alle prese con guadagni assai più modesti.
L’influencer, oggi, non è più una figura misteriosa o lontana. È il vicino di casa che recensisce prodotti, l’amico del liceo che pubblica tutorial di make-up, o il cugino che parla di gaming. Ma cosa spinge così tante persone, soprattutto giovani, a intraprendere questa strada?
Da una parte, il fascino di un mestiere che promette libertà, notorietà e guadagni elevati. Dall’altra, la pressione sociale di un mondo iper-connesso, dove essere visibili e avere un seguito è spesso percepito come sinonimo di successo personale e professionale.
Eppure, dietro i filtri di Instagram e le clip di TikTok, si nasconde una realtà complessa fatta di lavoro incessante, algoritmi spietati e una competizione feroce.
Essere un influencer non significa solo postare selfie e ricevere like. Per molti, è un vero e proprio lavoro che richiede pianificazione strategica, capacità di storytelling, competenze tecniche e una dedizione totale. E poi c’è il rischio del “glamour effimero”: la notorietà sui social è spesso temporanea, legata al capriccio degli algoritmi o alla capacità di cavalcare tendenze sempre nuove.
Inoltre, la crescita esponenziale del numero di creator ha portato a una saturazione del mercato. Emergono solo i migliori o i più fortunati, mentre gli altri rimangono intrappolati in una giungla digitale fatta di investimenti in pubblicità, collaborazioni sottopagate e lotte per guadagnarsi un pubblico stabile.
Nonostante le sfide, l’influencer marketing rappresenta una risorsa strategica anche per le piccole e medie imprese italiane. Collaborare con creator di nicchia consente di raggiungere target specifici, con un ritorno sull’investimento spesso superiore rispetto alla pubblicità tradizionale.
Tuttavia, per sfruttare al meglio questa opportunità, è fondamentale scegliere con cura gli influencer giusti, valutando non solo i numeri, ma anche l’autenticità e l’affinità con i valori del brand.
L’Italia si conferma una fucina di talenti digitali, ma il sogno di diventare influencer non è per tutti. Richiede impegno, creatività e una buona dose di resilienza. Per i giovani, rappresenta una via affascinante verso l’indipendenza economica e la realizzazione personale, ma è fondamentale non farsi ingannare dalle apparenze.
Per le PMI, invece, l’influencer marketing è una carta da giocare con intelligenza, sfruttando il potenziale di un settore in costante crescita. Perché, al di là delle mode, una cosa è certa: i social media continueranno a plasmare il futuro della comunicazione e del marketing, e chi saprà adattarsi ne raccoglierà i frutti.
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