Nel panorama politico italiano, tra crisi economica, pressione fiscale alle stelle e un sistema burocratico che soffoca ogni slancio imprenditoriale, c’era proprio bisogno di una nuova “priorità”: togliere il cognome del padre ai figli.
È questa l’ultima trovata di Dario Franceschini, ex ministro e senatore del Partito Democratico, che propone di assegnare ai figli solo il cognome materno. Un’idea che grida vendetta al buon senso e che sembra uscita più da un laboratorio ideologico che da un’aula del Parlamento.
Secondo Franceschini, sarebbe una sorta di “risarcimento” alle donne, che per secoli hanno subito l’ingiustizia di vedere i figli portare esclusivamente il cognome del padre. Peccato che, in nome di un malinteso concetto di giustizia, si voglia ora compiere l’ennesimo capolavoro progressista: cancellare il ruolo del padre, già ampiamente svilito nella società moderna.
Non si tratta più di garantire parità di diritti, che sarebbe legittimo e doveroso: qui si punta dritti alla negazione del padre, alla sua sparizione simbolica. Una cancellazione culturale, mascherata da giustizia sociale, che puzza di vendetta ideologica lontano un miglio. E il paradosso? Si passa dal patriarcato all’egemonia matriarcale, scambiando un’ingiustizia con un’altra.
Se questa proposta diventasse legge, che messaggio darebbe alle nuove generazioni? Che il padre è un accessorio, una figura irrilevante nella costruzione dell’identità familiare? In un’epoca in cui la crisi della paternità è già un’emergenza silenziosa, e sempre più uomini vengono marginalizzati nel loro ruolo educativo, il colpo di grazia arriva direttamente dai banchi del Senato.
Chi lavora nel mondo delle aziende e delle professioni sa bene quanto siano cruciali i valori di responsabilità, continuità e tradizione. Sradicare l’identità familiare, privando i figli del cognome paterno, non è solo un gesto simbolico: è un colpo al cuore del nostro tessuto sociale. Immaginate cosa significhi per un imprenditore che ha costruito un’azienda di famiglia con sacrificio e dedizione vedersi negare la possibilità di tramandare il proprio nome. È come se si volesse spezzare quella catena di valori, di impegno e di appartenenza che lega il passato al futuro.
E non è solo una questione di orgoglio personale: il cognome rappresenta l’eredità culturale e affettiva che ogni padre ha il diritto – e il dovere – di trasmettere. Smantellare questa dimensione significa indebolire le radici stesse su cui si fonda la nostra società.
In un Paese dove le aziende arrancano tra burocrazia e pressione fiscale, dove il costo della vita aumenta vertiginosamente e la natalità è in caduta libera, ci si aspetterebbe dalla politica soluzioni concrete per sostenere chi crea ricchezza e lavoro. Invece, assistiamo all’ennesimo spettacolo dell’assurdo: una proposta che non risolve alcun problema reale ma che serve solo a inseguire le mode ideologiche del momento.
Mentre i nostri competitor internazionali investono in innovazione e semplificazione, noi discutiamo se cancellare il cognome paterno. È questa la strategia per rilanciare l’Italia? Davvero pensiamo di rendere il Paese più equo minando le fondamenta della famiglia?
Chi fa impresa sa che la solidità di una struttura dipende dalle sue fondamenta. E la famiglia è la prima, essenziale istituzione su cui si regge l’intera società. Sminuire il ruolo del padre, relegandolo a una figura di secondo piano, significa minare queste fondamenta. Non c’entrano nulla la parità di genere o i diritti delle donne: questa proposta è una dichiarazione di guerra contro l’equilibrio familiare, una mossa divisiva che rischia di generare più conflitti che soluzioni.
Se davvero si vuole garantire parità e rispetto reciproco, la strada non è cancellare il padre, ma riconoscere pari dignità a entrambi i genitori, senza sterili vendette storiche. Perché un Paese che dimentica i suoi padri è un Paese che ha già smarrito il suo futuro.
[ Foto in copertina: L’ex ministro della Cultura Dario Franceschini durante la presentazione del XIII Rapporto Civita “Quando la Cultura incontra la Sostenibilita”, Roma, 04 luglio 2022. ANSA/ANGELO CARCONI ]
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