Negli ultimi vent’anni, il mercato del lavoro italiano ha subito una trasformazione significativa, con una perdita netta di oltre 2 milioni di giovani lavoratori. Questo dato impressionante riflette dinamiche complesse legate a fattori economici, sociali e demografici che hanno inciso profondamente sulle opportunità occupazionali delle nuove generazioni.
Uno dei motivi principali di questa drastica riduzione è il calo demografico. Il tasso di natalità in Italia è tra i più bassi d’Europa, e la popolazione giovanile si è ridotta drasticamente nel tempo. A ciò si aggiunge un altro fenomeno rilevante: l’emigrazione di migliaia di giovani altamente qualificati in cerca di migliori opportunità lavorative all’estero.
L’Italia è infatti il paese in cui lo squilibrio demografico si riflette maggiormente sugli occupati. Da noi la fascia 25-34enni conta poco più di quattro milioni di unità, un milione in meno rispetto alla fascia 55-64 anni. La Germania invece si trova con un 10% in meno, la Spagna vede attualmente un equilibrio tra tali le due classi. La Francia, al contrario, registra circa il 20% in più della fascia 25-34 rispetto alla fascia 55-64.
Se a ciò aggiungiamo che dal 2011 al 2023 sono 550mila i giovani tra i 18 e i 34 anni emigrati all’estero ci rendiamo conto della dimensione del problema. Si stima che il valore del capitale umano uscito sia pari a 134 miliardi.
Siamo, inoltre, poco attrattivi…
Per ogni giovane che arriva in Italia dai Paesi avanzati, otto italiani fanno le valigie e vanno all’estero. L’Italia si piazza all’ultimo posto in Europa per attrazione di giovani. Inoltre, la riduzione della forza lavoro giovanile ha ripercussioni sul sistema previdenziale. Con meno giovani attivi nel mercato del lavoro, il peso sulle generazioni più anziane aumenta, mettendo sotto pressione le pensioni e i servizi sociali.
Un altro fattore chiave è la precarizzazione del lavoro. Molti giovani si trovano intrappolati in contratti a tempo determinato, con salari bassi e scarse possibilità di crescita professionale. Questa instabilità ha spinto molti a cercare sicurezza economica in altri paesi o a prolungare il periodo di studi, ritardando l’ingresso nel mondo del lavoro.
La perdita di giovani lavoratori ha conseguenze dirette sulla competitività del Paese. Le aziende italiane faticano a trovare risorse qualificate, compromettendo innovazione e crescita. Il ricambio generazionale nelle imprese è più lento, con effetti negativi sulla produttività e sull’adozione di nuove tecnologie.
Per affrontare questa crisi, sono necessarie politiche mirate. Investire nella formazione e nell’orientamento al lavoro può aiutare i giovani a entrare più rapidamente nel mercato occupazionale. Incentivare contratti stabili e migliorare le condizioni salariali potrebbe ridurre l’emigrazione e rendere l’Italia un paese più attrattivo per i lavoratori.
Inoltre, servono riforme che favoriscano la nascita di nuove imprese e l’innovazione tecnologica, creando opportunità in settori emergenti. Anche una revisione del sistema fiscale potrebbe incoraggiare l’occupazione giovanile, riducendo il costo del lavoro per le aziende.
La perdita di oltre 2 milioni di giovani lavoratori è un campanello d’allarme per l’Italia. Se non si interviene con misure concrete, il rischio è quello di un paese sempre più vecchio e meno competitivo. È essenziale agire ora per garantire alle nuove generazioni un futuro professionale stabile e soddisfacente, evitando che il talento italiano continui a fuggire oltre confine.
A cura di Daniela Liguori
–