Il dibattito sul disegno di legge avanzato da Fratelli d’Italia, che propone la chiusura obbligatoria della grande distribuzione e dei centri commerciali durante sei festività nazionali, è un affascinante palcoscenico di opinioni, interessi e, ovviamente, contraddizioni.
Secondo i promotori, il provvedimento ha il nobile intento di ridare centralità alle festività, concedendo ai lavoratori del settore la possibilità di festeggiare con le proprie famiglie. Un tocco di nostalgia per un tempo in cui, la domenica, si stava chiusi in casa o, al massimo, in fila per il cinema.
Tuttavia, qualcuno si chiede se la vera finalità sia celebrare i valori tradizionali o accattivarsi un certo elettorato stanco del ritmo frenetico imposto dalla società moderna.
Confcommercio e alcune sigle sindacali hanno accolto la proposta con un moderato applauso. “Finalmente si riconosce il diritto al riposo dei lavoratori”, sostengono. Una posizione che, però, non considera un dettaglio: molte delle stesse sigle erano contrarie alla liberalizzazione introdotta nel 2012, definendola una minaccia alla piccola impresa.
Dunque, si combatte per il riposo del lavoratore o per un riequilibrio competitivo tra grande distribuzione e commercio al dettaglio?
Confesercenti, per contro, ricorda come la liberalizzazione abbia avuto effetti positivi sul PIL e sull’occupazione. Chiudere i centri commerciali durante le festività è come mettere i freni a una macchina che, seppur arranca, continua a muoversi.
Ma non è tutto: il turismo, settore che in Italia già cammina su un filo sottile, potrebbe risentirne. Un turista che si trovi davanti le porte chiuse di un centro commerciale in una giornata di festa potrebbe chiedersi se è finito nel Paese del Sole o in quello delle saracinesche abbassate.
Il mondo del retail è spaccato. Alcuni operatori vedono la proposta come un’opportunità per dialogare e trovare compromessi; altri temono che si tratti di un passo indietro, una regressione culturale e commerciale. Perché, ammettiamolo, è difficile tornare indietro dopo anni in cui ci siamo abituati alla comodità di fare acquisti 24/7. Dopotutto, niente urla “modernità” come comprare un set di pentole alle 21 di un 25 aprile.
Il vero paradosso è che, mentre discutiamo di chiusure per restituire tempo ai lavoratori, nessuno sembra preoccuparsi dei dipendenti delle piattaforme di e-commerce, i cui magazzini continueranno a lavorare a pieno regime anche nelle festività.
Una vittoria di Pirro, se vogliamo, per chi sogna un mondo più equo. Inoltre, in un Paese che lotta per mantenere la crescita economica, rinunciare a giornate di incassi significativi potrebbe essere un lusso che non ci possiamo permettere.
La proposta di legge è un affresco perfetto delle contraddizioni italiane: il tentativo di preservare tradizioni in un mondo che non vuole fermarsi. Sarà interessante vedere se la chiusura delle saracinesche porterà a una maggiore felicità collettiva o solo a un aumento degli ordini su Amazon.
Forse è il caso di riflettere sul vero significato di progresso: è un giorno di riposo forzato o la libertà di scegliere cosa fare, lavorare compreso?
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