“La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, diceva Clausewitz.
Oggi potremmo dire lo stesso della finanza: la volatilità non nasce più solo da dati economici o fondamentali, ma da una guerra di percezioni. L’accordo temporaneo tra Stati Uniti e Cina sui dazi – sbandierato come un segnale di distensione – non è né pace né vittoria. È pura gestione della narrativa.
Dopo due giorni di trattative in Svizzera, Washington e Pechino hanno siglato un’intesa per ridurre temporaneamente i dazi sulle reciproche importazioni.
I mercati hanno reagito come previsto: Nasdaq +4%, Hang Seng Tech +4,5%, dollaro in rafforzamento, euforici come bambini dopo una promessa di gelato. Ma la domanda giusta non è “Quanto salgono i listini?”, bensì: “Cosa stiamo davvero festeggiando?”
Nel concreto, le tariffe restano molto più alte rispetto ai livelli pre-crisi. Questo è il punto cieco più grande: non stiamo tornando alla normalità. Stiamo solo negoziando con una pistola puntata sul tavolo e facendo finta che sia una stretta di mano.
Se Trump avesse introdotto da subito dazi al 30%, senza la fase teatrale dell’escalation al 145%, i mercati sarebbero crollati. Ma ora, grazie a un intelligente gioco di ancoraggio, il 30% viene percepito come un sollievo.
Questo è un principio fondamentale che ogni imprenditore deve capire: il contesto cambia la percezione, non la realtà.
In psicologia comportamentale si parla di bias del contrasto e effetto ancoraggio. I governi, come i brand o i leader aziendali, manipolano le aspettative per gestire il sentiment. E funziona: si alza il rischio al massimo, poi si riduce leggermente la minaccia. La platea applaude. Ma nulla è cambiato davvero.
Come questo si applica a chi fa impresa?
Questa “tregua” non nasce da saggezza, ma da debolezze sistemiche.
Nessuno poteva permettersi questa guerra. Eppure è stata combattuta. Perché? Per motivazioni politiche, non economiche. E nemmeno troppo lucide.
Non c’è stata nessuna “vittoria”. Solo un momentaneo cambio di tono. Ma le regole del gioco restano incerte. I fondamentali globali — debito, produttività, fiducia nel sistema, tensioni geopolitiche — non sono migliorati. È solo cambiata la colonna sonora.
E questo ci porta alla lezione chiave per aziende e professionisti.
Nel business come nella geopolitica, servono strumenti per decifrare il rumore.
Le decisioni di valore si prendono sui dati e sulla logica, non sull’umore collettivo.
Se una “buona notizia” sembra troppo allineata con ciò che la gente vuole sentire, scavaci sotto.
In ogni negoziazione, chiediti sempre: “Qual è il rischio reale che l’altro si può permettere?”
La Cina non può perdere crescita. Gli USA non possono perdere fiducia nei loro bond. Questo spiega l’accordo più di qualsiasi comunicato stampa.
Non aspettarti un ritorno alla normalità. Aspettati una nuova normalità.
Nel 2025, il “30% di dazi” è il nuovo standard, non l’eccezione. Se costruisci la tua strategia su scenari pre-crisi, sei già fuori fase.
Il problema non è l’accordo. È la reazione cieca. È il fatto che, nel mondo di oggi, basta una sospensione temporanea del dolore per innescare euforia.
La vera leadership – sia in politica, sia in azienda – si misura nella capacità di vedere oltre il sollievo e progettare a lungo termine.
Il mercato oggi ha preso fiato. Ma chi costruisce un’impresa non può limitarsi a respirare. Deve preparare i polmoni per la corsa.
Non inseguire le notizie; costruisci sistemi. Non festeggiare tregue; progetta indipendenza. Non rincorrere la fiducia del mercato; meritala.
[ Photo: www.open.online ]
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