L’Unione Europea si prepara a una corsa al riarmo senza precedenti. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha lanciato il piano ‘Rearm Europe’, un programma che punta ad aumentare in modo massiccio la spesa per la difesa in tutti gli Stati membri.
Un progetto ambizioso, ma con costi esorbitanti, soprattutto per l’Italia, che si troverebbe a raddoppiare il budget per la difesa, passando dagli attuali 33 miliardi a circa 70 miliardi di euro entro il 2028. In termini percentuali, ciò significa un’impennata della spesa fino al 3% del PIL.
Questa manovra impone un peso insostenibile sulle casse italiane. Si parla di un incremento progressivo della spesa: +7 miliardi già nel 2025, +17 miliardi nel 2026, +27 miliardi nel 2027, fino a toccare un incremento di 37 miliardi nel 2028. Complessivamente, nei prossimi quattro anni, l’Italia potrebbe arrivare a sborsare tra gli 88 e i 120 miliardi di euro per assecondare questa politica.
E per cosa? Per soddisfare un piano imposto dall’alto, che non tiene conto delle reali necessità della nazione. Con un debito pubblico che sfiora il 140% del PIL e una pressione fiscale asfissiante, possiamo davvero permetterci di destinare decine di miliardi a una corsa agli armamenti che avvantaggia solo le lobby della difesa?
Il paradosso è evidente. Von der Leyen parla di un’Europa più forte e indipendente, ma a chi andranno questi soldi? Alle industrie belliche, in primis a quelle statunitensi, che da sempre fanno affari d’oro con la guerra. Non si tratta di una strategia per rafforzare l’industria militare europea, bensì di un piano che ingrassa le multinazionali d’oltreoceano. Un déjà vu della dipendenza dall’America, questa volta su scala ancora più ampia.
E non è un caso che Donald Trump, con il suo taglio al sostegno militare all’Europa, si stia liberando di costi diretti che, alla fine, rientreranno come ricavi. Gli Stati Uniti continueranno a esercitare la loro influenza sul continente, senza nemmeno dover mettere mano al portafoglio. A pagare saranno, ancora una volta, gli europei.
Di fronte a un piano così aggressivo, è lecito chiedersi: dov’è il dibattito? I media mainstream si sono trasformati in megafoni del pensiero unico, esaltando la necessità di un’Europa armata senza dare spazio a voci contrarie. Il dissenso è stato silenziato, le alternative bollate come utopistiche. Per anni ci è stato ripetuto che la pace si sarebbe raggiunta attraverso la guerra, un’assurdità che oggi si sgretola di fronte ai fatti.
Nel frattempo, la spesa militare aumenta a ritmi vertiginosi. Per i Paesi europei della NATO, la quota destinata agli armamenti è passata dal 18% al 32% in pochi anni. A livello globale, siamo prossimi al 30%. In Italia, addirittura, il 40% della spesa militare è già destinato all’acquisto di armi.
E tutto questo a beneficio di chi? Sicuramente non dei cittadini, che vedono il loro potere d’acquisto eroso da un’inflazione galoppante e da un fisco sempre più oppressivo.
L’Italia ha bisogno di un governo capace di difendere i propri interessi, non di accettare diktat europei che la impoveriscono. Un Paese con un sistema sanitario sotto pressione, infrastrutture da rinnovare e un’economia che fatica a crescere non può permettersi di sperperare miliardi in armamenti su richiesta di Bruxelles.
Serve una politica estera sovrana, capace di negoziare il proprio ruolo senza subire passivamente decisioni calate dall’alto. Serve un’Italia che investa nelle proprie priorità, non in quelle imposte da logiche geopolitiche che favoriscono solo pochi attori.
‘Rearm Europe’ è un piano che ci impone di spendere di più per ottenere meno. Un piano che avvantaggia le multinazionali delle armi, garantisce affari d’oro agli Stati Uniti e impone sacrifici insostenibili ai cittadini italiani.
È arrivato il momento di chiedersi: siamo ancora padroni del nostro destino o siamo destinati a essere solo la cassa automatica di un’Europa sempre più prona agli interessi altrui?
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