Gender gap e lavoro: le donne, in Italia, sono ancora svantaggiate?


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Quando si parla di mercato del lavoro sono tanti i temi di cui si potrebbe discutere e uno in particolare che sembra essere superato, sconveniente, ma che invece è ancora presente nella società è quello del “gender gap”, ossia la differenza sistematica nelle opportunità, nei diritti, nelle retribuzioni e nelle rappresentazioni tra uomini e donne in diversi ambiti della società, come, per esempio, l’occupazione, l’istruzione e la partecipazione politica.

Le ragioni di questa disparità possono includere stereotipi culturali, mancanza di accesso all’istruzione e opportunità di carriera, oltre a molti altri fattori complessi. Nell’ambito della partecipazione economica e opportunità per le donne, il nostro Paese è al 104esimo posto, ben lontano dalla maggior parte degli altri Stati dell’Eurozona. A confermare il quadro sono anche le statistiche di Eurostat, secondo cui l’Italia è terzultima in Europa per numero di donne occupate.

Tornando ai fattori che comportano il gender gap occupazionale, tra questi c’è la difficoltà per le donne di conciliare le esigenze lavorative con la cura della famiglia e dei figli. C’è poi la segregazione settoriale, cioè la sovra-rappresentazione delle donne in settori relativamente poco remunerativi, ma non per questo meno importanti per il funzionamento del sistema-Paese, come l’assistenza e l’istruzione. Ancora, la posizione nella gerarchia che influenza il livello di retribuzione: una bassissima percentuale degli amministratori delegati delle principali aziende sono donne.

In generale, in alcuni casi, le donne guadagnano meno degli uomini per svolgere lavori di pari valore, nonostante il principio della parità di retribuzione per un lavoro di pari valore sia sancito nei trattati europei dal 1957. In Italia, la situazione è leggermente peggiore rispetto alla media: si segnala che l’Italia è scesa ancora nella classifica mondiale dei Paesi che attuano la parità salariale.

Molti studi individuano la principale causa del gender gap nelle culture dei vari Paesi, in cui spesso la figura femminile è ancora relegata alla dimensione domestica e familiare, lontana da una carriera che possa condurla a una posizione di rilievo nella società e nel proprio contesto lavorativo.

Ciò su cui ci si interroga ancora sono invece gli “effetti” del divario di genere: è evidente che vi siano importanti conseguenze sul senso di sicurezza e sulle ambizioni delle donne, e sulle scarse aspettative di un buon equilibrio tra vita personale e professionale, mentre sempre più studiosi concordano nel considerare il gender gap una forte limitazione alla crescita del PIL nazionale di ogni Paese e dell’economia in generale.

Nonostante ci sia stato un aumento di consapevolezza per quanto riguarda la condizione della donna nel mondo del lavoro, le statistiche non permettono ancora previsioni ottimistiche. La disoccupazione femminile resta alta e le difficoltà incontrate dalle donne negli ambienti lavorativi sono diverse. Sono retribuite meno rispetto agli uomini, precarie e in settori poco strategici. Addirittura una su cinque finisce per lasciare il lavoro dopo essere diventata madre.

Grazie ai mutamenti e ai progressi degli anni precedenti, la pari opportunità lavorativa fra donne e uomini è diventata un principio fondamentale del diritto comunitario, ed è vietato fare discriminazioni legate al genere sul posto di lavoro. Ma restano, tuttavia, alcune problematiche, per esempio quelle citate prima relative al difficile equilibrio tra vita professionale e vita privata, scarsa partecipazione femminile in cariche aziendali manageriali e imparità di retribuzione. Dunque, il lavoro femminile cresce ancora troppo poco.

Perché l’occupazione femminile cresca, serve anche la collaborazione delle aziende e, in particolare, degli uffici risorse umane. A tal proposito, si possono elencare alcune iniziative che potranno avere un impatto diretto o indiretto sulla crescita dell’occupazione femminile:

Innanzitutto, la trasparenza retributiva, visto che uno degli effetti del gender gap è il divario nelle retribuzioni, ovvero il “gender pay gap”; in tal caso, la soluzione più naturale per questo problema sembrerebbe un intervento normativo che obblighi le aziende a non operare alcuna discriminazione salariale. Poi il congedo di paternità, un fattore determinante non solo in fase di ricerca e selezione, ma anche nei percorsi interni di carriera. Poi ancora, il welfare aziendale, che comprende strumenti in grado di alleggerire il carico sulle famiglie (per esempio, la possibilità di farsi rimborsare le spese, non detratte, per l’asilo nido, per i servizi di baby sitting e per l’assistenza agli anziani). L’imprenditorialità femminile: incentivare la crescita dell’occupazione femminile vuol dire anche assicurarsi che le donne abbiano le stesse chance imprenditoriali degli uomini.

L’Italia si è posta l’obiettivo, insieme all’Europa tutta, di valorizzare ogni individuo nella sua diversità, entro il 2025. Colmare il gap significherebbe anche ridurre la povertà, stimolare l’economia e dare a tutti parità di diritti ed opportunità. Una società più giusta, è quasi scontato dirlo, gioverebbe a tutti.

A cura di Ernesto Meoli

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